«Negli ultimi anni dell’800, salì a Bologna dalla nativa Siracusa un giovane di belle speranze, l’Avv. Mario Santangelo Pulejo. Siracusa era allora una piccola città, non vi erano le industrie odierne, non vi era il movimento turistico, portuale ed aereo attuale. I poveri emigravano in America, i ricchi rimanevano nella loro bella isola, né si era ancora iniziato l’esodo verso il Nord Italia o il Nord Europa.
Pochi anni prima, un altro avvocato era sceso a Bologna, dalla nativa Trieste: l’Avv. Eugenio Jacchia, trasferitosi qui unitamente a Giacomo Venezian, professore all’Università in cui insegnò diritto civile, poi volontario della Prima guerra mondiale, caduto sul campo e onorato a Bologna con lapidi all’Università e nell’edificio di via Garibaldi n. 5, in cui era il suo studio, nel quale gli succedette, come in cattedra, altro civilista, Giuseppe Osti.
Nello studio dell’Avv. Eugenio Jacchia, entrò il giovane Santangelo, cosicchè si trovarono vicine due persone provenienti dai capi opposti dell’Italia, uno dei quali allora estero. L’Italia era fatta e si cominciavano a fare gli italiani.
Le due personalità non potevano essere più diverse. Ossequiente verso le autorità e religiosissimo l’Avv. Santangelo: non ricordo una sola domenica in cui, con al braccio la buona signora Delia, non si recasse alla Messa nella fronteggiante chiesa di San Domenico. Profondamente laico l’Avv. Jacchia, che aveva un comportamento rispettoso, ma ove occorresse resistente e anche fiero. Scrittore vivacissimo l’Avv. Santangelo, ricco di puntini e di punti esclamativi; più asciutto l’Avv. Jacchia. L’uno proveniva da famiglia della buona borghesia austriaca, di lingua italiana e di sentimento verso l’Italia, l’altro da famiglia non abbiente (raccontava che il viaggio a Bologna era stato pagato da uno zio prete).
Personalità diverse, ma che si incontrarono e reciprocamente si stimarono. Presto l’Avv. Santangelo si fece un nome, specie nella Romagna dalla quale numerosi avvocati gli affidavano le cause avanti la Corte d’Appello. Rilevò lo studio dell’Avv. Baldini, in Via Garibaldi n. 7, che fece ristrutturare da un bravissimo ingegnere, l’ing. Luigi Veronesi, e fornì via via, da persone colta e appassionata per i libri, di una delle più belle biblioteche giuridiche private, munita delle opere e delle riviste dei rami civili edite nella prima metà del secolo ventesimo.
Della stima e amicizia reciproca fra l’Avv. Jacchia e l’Avv. Santangelo si avvantaggiò chi scrive queste pagine, che dopo aver compiuto il prescritto periodo di pratica nello studio dell’Avv. Eugenio Jacchia e del figlio Mario, aveva superato l’esame di procuratore.
L’Avv. Santangelo aveva frattanto aperto studio anche a Milano e a Roma, studio quest’ultimo del quale si valeva non solo per curare le cause in Cassazione, ma anche per seguire industrie elettriche in cui aveva preso personali interessi in imprese di Terni. Nonostante l’andirivieni, fra Bologna e Roma o fra Roma e Milano e viceversa, lo studio, dal quale in precedenza erano passati numerosi giovani poi divenuti valorosissimi avvocati di quela generazione, era semiabbandonato.
L’avv. Santangelo fece sapere che aveva bisogno di un collaboratore e l’avv. Jacchia mi indicò. L’avv. Santangelo mi interrogò, lessi la mia tesi di laurea – che frattanto avevo pubblicato per estratto negli studi Urbinati – e alcuni giorni dopo mi fece telefonare di venire allo studio, dove mi presentai il mattino del 2 gennaio 1934. Sul tavolo della stanza che mi assegnò trovai i fascicoli di una causa di prossima trattazione avanti la Corte d’Appello. Non vido per tutta la giornata l’Avv. Santangelo, che partì la sera stessa, dicendo di preparare la comparsa e mandargliela in bozza.
Non vidi per quasi due mesi l’Avv. Santangelo, sempre a Milano o a Roma. Ricevetti invece la bozza accompagnata da una spero meritata approvazione e un garbato e meritato consiglio: “Bene! Più tacitiano”.
Per le difficoltà del dopo guerra, la malattia e poi il decesso dell’Avv. Santangelo (1950), lo studio non potè divenire, come era suo desiderio, una fondazione con la preziosa biblioteca aperta ai colleghi e ai magistrati.
Non è neppure uno studio associato, ciascuno avendo il proprio lavoro, pur essendo a volte, come è ovvio, codifensori in singole cause. “Studio Santangelo” è in definitiva una sorta di insegna e nella sostanza siamo tutti noi. L’etica professionale ci vieta quindi di usare forme anche indirette di pubblicità, ma non ci vieta, ed anzi tutti desideriamo, e per primo chi scrive, di onorare la memoria del fondatore dello studio.»